giovedì 10 maggio 2012

Memorabilia (2)



Nostro servizio particolare.
C'è spesso una certa confusione sulla linea adottata dal Fascismo in ambito cinematografico, e questo non può certo sorprendere se si considera che lo stesso regime, nell'arco di un ventennio, si è trovato in più di un'occasione a dover tornare sui suoi passi, sia per quanto riguarda l'appoggio a determinati autori e sia per quanto concerne invece l'organizzazione propriamente legislativa.
Il discorso, in particolare, diventa però ancor più complesso qualora si tenti di sviscerare l'ambiguo rapporto con la cinematografia americana, guardata al tempo stesso come modello prediletto ma anche come pericolosissima rivale. Il punto di non ritorno, com'è noto, sarebbe stata la famigerata legge Alfieri del 4 settembre 1938, che introdusse una sorta di monopolio per l'importazione di film stranieri, chiudendo così il mercato alle majors americane, che fino a quel momento avevano invece racimolato lauti incassi attraverso le proprie filiali italiane. Si tratta di una legge che rientra nella politica autarchica dell'epoca, favorendo di fatto la produzione italiana ai danni di quella americana, che nel 1938 raccoglieva sul nostro mercato circa il 75% degli incassi e che solo un anno più tardi era già scesa a meno del 30%. Non si creda, comunque, che il ritiro delle majors dal circuito nazionale abbia significato la totale sparizione del cinema americano dai nostri schermi, perché non furono invece poi pochissimi i film che, affidati a distributori nostrani, continuarono ad appassionare il pubblico. Il caso forse più emblematico è quello di Ombre rosse, distribuito dalla Artisti Associati, che ottenne il visto censura nell'ottobre 1940 e continuò a circolare almeno fino all'inizio del 1943, quando ormai era stato mitizzato da un'intera generazione come il film americano per eccellenza.
Ma ci sono naturalmente anche altri episodi a loro modo altrettanto rappresentativi, e uno di questi è appunto legato all'altro grande capolavoro hollywoodiano targato 1939, quel Ninotchka di cui il pubblico italiano potrà godere soltanto una decina d'anni più tardi, nel 1948. Il film, che in un certo senso sfidava sullo stesso terreno la cosiddetta produzione autarchica dei "telefoni bianchi", arriva infatti nelle mani delle autorità fasciste già per la metà del 1942, quando ne viene apparentemente requisita una copia destinata al mercato svizzero. Segue una serie di proiezioni a carattere più o meno ristretto, che attraverso il passaparola alimentano però vertiginosamente l'interesse del pubblico intorno al film e di cui resta traccia per esempio nell'epistolario di Pietro Ingrao, ma anche nell'articolo di Lorenzo Bonaccorsi intitolato Ninotchka non sorride a Stalin, pubblicato il 25 settembre 1942 sulla prestigiosa rivista "Cinema". E' soltanto nel 1943, comunque, che il Ministro della Cultura Popolare sembrerebbe seriamente prendere in considerazione l'idea di fare uscire il film nelle pubbliche sale, sfruttandolo in chiave propagandistica come “documento nemico sul bolscevismo”. Un progetto destinato, nei fatti, a risolversi in una bolla di sapone. Ma con una piccola appendice: a quanto apprendiamo da La porta del cielo (Avagliano, 2004), di lì a poco una copia del film (la stessa?) sarebbe infatti misteriosamente entrata nella collezione personale di Vittorio De Sica, che l'avrebbe proiettata in privato per colleghi e conoscenti. Come dire che, al di là di tutti i visti censura di questo mondo, accanto al cinema "pubblico" è sempre esistito anche un altro cinema un po' meno pubblico. Ma questa, al solito, è un'altra (micro)storia...




ps. [11.5.2012] nel dossier Le veline fasciste sul cinema (“Bianco e Nero”, ottobre-dicembre 1997), Sergio Raffaelli trascrive alcune direttive ministeriali del settembre 1942 dedicate proprio alla Garbo e Ninotchka, che appunto contestualizzano lo stesso articolo di Bonaccorsi in una più ampia campagna antibolscevica voluta dall’alto.
8 settembre 1942
È stata inviata a mezzo motociclista una notizia da Stoccolma su Greta Garbo. Commentarla, ricordando che la Garbo fece il famoso film Ninotchka di carattere antibolscevico, film che è stato naturalmente ritirato dalla circolazione. La Garbo interpretò quel film essendo apertamente di sentimenti antibolscevici e siccome continua oggi in tale atteggiamento, viene perseguitata.

28 settembre 1942
[...] Dovendo occuparsi di Greta Garbo, dopo i noti trafiletti, non dimenticare che se essa è antibolscevica, è anche antitotalitaria. Non sopravvalutarla.

Una nota precedente, del 12 agosto 1941, contestualizza meglio anche il tentativo di distribuire il film di Lubitsch come "documento nemico", pratica che a quanto sembra rientrava in un più vasto progetto propagandistico-diffamatorio.
[...] Ci sarà un esperimento piuttosto interessante. Noi daremo alcuni film inglesi e americani scelti per un determinato scopo come pure delle commedie inglesi ed americane e forse anche una di autore ebreo. Ciascuno di questi film o di queste commedie servirà come documentazione polemica, fatta ex ore del nemico, di quello che è la plutocrazia, l’ebraismo, la vita inglese ecc. Faremo cioè come in un certo senso hanno fatto i tedeschi con l’ebreo Süss.


 ps. [30.5.2012] non che non ci avessi pensato anch’io, ma un articolo di Richard Whitehall (Garbo-how good was she?, “Films and Filming”, settembre 1963) torna a farmi riflettere sulla curiosa data d’uscita di Ninotchka in Italia: il visto censura è del 9 marzo 1948, circa un mese prima delle elezioni del 18 aprile...
Indubbiamente il più insolito revival della Garbo fu la riedizione italiana di Ninotchka del 1948, quando qualcuno malignò – senza mai essere smentito – che su esplicita richiesta del Dipartimento di Stato americano la MGM aveva inviato copie del film in vista della campagna elettorale.
Notizia vera o tendenziosa che fosse, l’uscita del film a Roma non mancò comunque di suscitare un piccolo “caso” diplomatico, di cui rende conto un articolo uscito su “La Nuova Stampa” il 30 marzo 1948, intitolato Non parla di Trieste ma del film “Ninotchka”.
La quiete pasquale è d’improvviso stata ieri interrotta negli uffici di Palazzo Chigi: l’Ambasciata sovietica, per mezzo di un motociclista velocissimo che aveva attraversato rombando la città, aveva fatto recapitare al nostro Ministero degli Esteri un grosso plico riservato e urgentissimo. Il funzionario di servizio lo ha dissuggellato con un certo tremore: da giorni, infatti, da molti giorni le Cancellerie di tutto il mondo sono in attesa della nota sovietica di risposta al progetto delle Potenze occidentali per Trieste, e il funzionario, in quel momento, si sentiva partecipe di una comunicazione che avrebbe potuto indicare le linee della storia, della guerra o della pace nel prossimo avvenire.
La nota uscita dalla busta suggellata era scritta in lingua russa, come è costume dell’Ambasciata dei sovietici, che non si serve di altra lingua. Il funzionario la distese avanti a sé e se ne stette a contemplarla per tutto il tempo che fu necessario all’interprete ufficiale del Ministero, la signora Amendola, consorte del deputato comunista omonimo, per venire da casa sua a Palazzo Chigi. Quando arrivò, non solo il funzionario di servizio, ma pure altri diplomatici della Direzione generale degli affari politici si trovavano in ufficio, all’uopo convocati, e in preda ad una legittima e curiosa ansietà. La signora cominciò speditamente la traduzione, molti i visi protesi di sopra alle sue spalle per seguire meglio la traduzione: così, presto si seppe che l’Ambasciata russa non già comunicava il punto di vista sulla questione di Trieste, ma formulava una protesta contro la proiezione del film di Greta Garbo intitolato Ninotchka, che in questi giorni fa furore a Roma.
È una pellicola vecchia di dieci anni, mai proiettata prima d’ora sui nostri schermi, una piacevole pellicola satirica che il regime fascista aveva proibito perché i censori vi avevano visto troppe analogie, troppi possibili accostamenti tra il satireggiato regime bolscevico e l’allora vigente regime mussoliniano. Quando fu programmato la settimana scorsa a Roma, il critico cinematografico de “l’Unità” si limitò a esprimere il giudizio che Ninotchka era un piacevole racconto cinematografico, anzi non privo di qualità artistiche: e gli negava implicitamente un valore di polemica politica.
Era l’atteggiamento più opportuno, dato il successo che otteneva il film tra spettatori di ogni classe sociale: ma adesso “l’Unità” si trova ad essere recisamente sconfessata dalla lettera dell’ambasciatore Kostylev, il quale fa notare al Ministero degli Esteri italiano che il film Ninotchka “è tuttora severamente proibito in tutti i Paesi che si trovano sotto l’influenza sovietica”. Al conte Sforza, probabilmente, basterà rispondere che l’Italia non è in tale zona di influenza e l’incidente sarà chiuso senza neppure possibilità di strascichi ulteriori (sempre che non si sappia quello che a Roma si va dicendo: che, cioè, proprio il ministro Sforza sarebbe stato consigliere della proiezione del divertente film).

1 commento: